La Grande Guerra è finita. L'inutile strage vista da Tollegno [da "Eco di Biella" del 5 novembre 2018]

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L'alpino Vitale Ottavio Cinguino, classe 1880, caduto il 21 luglio 1915 sul Monte Nero [proprietà privata].
L'alpino Vitale Ottavio Cinguino, classe 1880, caduto il 21 luglio 1915 sul Monte Nero [proprietà privata].

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articolo di giornale

Note

La guerra è finita. Ieri, un secolo fa. In questi cento anni la guerra è ricomparsa, come una malattia endemica, ma oggi siamo in pace. Tutto il mondo, dopo questi quattro anni di celebrazioni, di riflessioni, di revisioni e di retorica, può tornare alla sua quotidianità ormai molto lontana da quella del 1915 o del 1918 senza più l'assillo della commemorazione dovuta, della ricorrenza inderogabile, della manifestazione inevitabile. Siamo tra gli ultimi a "vivere" il senso della Grande Guerra. Tra cento anni, se tutto andrà come va di solito, i posteri saranno alla stessa distanza cronologica che separa noi da Napoleone Bonaparte. Waterloo adesso è una sacra rappresentazione per i devoti feticisti del genere, una mascherata in costume, un appuntamento di folklore. Forse è un bene che sia così e forse lo sarà anche per chi visiterà l'altopiano di Asiago come si fa adesso ad Austerlitz. Ma oggi è scoppiata la pace e c'è il modo e il tempo per non svuotare del tutto il senso di un evento storico immenso. Soprattutto a livello locale alcuni si sono messi in marcia sulle tracce dei soldati della Prima Guerra Mondiale e li hanno raggiunti negli archivi, dove ormai tutti riposano nelle loro tombe di carta e di inchiostro. A livello locale, forse, si può ancora cogliere significati profondi e veri di quelle vite e di quelle morti, anche se le piccole comunità, che si chiamano ancora con il medesimo nome, ma non sono più le stesse. Venerdì sera abbiamo provato a rievocare i combattenti di Tollegno, cercando di richiamarli alla memoria tutti insieme e singolarmente, riscoprendo le loro vicende militari sia in chiave statistica (quantità), sia in chiave individuale, quasi privata (qualità). Tollegno non è un campione rappresentativo né per l'una né per l'altra indagine (troppo esigua la base dati), ma è una tessera del grande mosaico e come tale può offrire spunti di riflessione interessanti. In questi ultimi anni un manipolo di appassionati che fanno riferimento al Gruppo tollegnese dell'ANA, alla Biblioteca Comunale di Tollegno e all'Associazione Spazio 0-100 ha recuperato dati e notizie sui compaesani chiamati a recitare la loro parte in quella tragedia immane. Si sono spogliati i giornali locali, si sono consultati gli archivi storici (quello del Comune di Tollegno e l'Archivio di Stato di Vercelli ove sono conservati i documenti del Distretto Militare competente anche per il Biellese) e si sono osservati i manufatti attinenti alla Grande Guerra, come le due lapidi presenti in paese, una nella piazza della chiesa, applicata sul vecchio municipio, l'altra al cimitero. Da questa ricerca, che è tutto fuorché terminata perché l'intento è quello di restituirla in modo organico su una congrua piattaforma digitale su cui i "Bibliotechi" stanno già lavorando, sono emersi numeri e peripezie da romanzo, scartoffie e avventure, conferme e novità, risposte e nuovi interrogativi. E' stato un percorso lungo, ma avvincente che, come sottolineato venerdì, è auspicabile per tutte le comunità che vogliono definire un po' meglio la propria storia e non solo quella del periodo di cui si è concluso il centennale. Prendendo in esame le classi di leva comprese tra il 1874 e il 1900 (quelle nelle quali si sono formati i contingenti impegnati nella Grande Guerra) sono stati analizzati i "file" dei 530 maschi nati a Tollegno in quel periodo, cioè i potenziali soldati disponibili. Eliminati dal novero i deceduti e i riformati alle visite di leva, si è circoscritto un gruppo di circa 330 individui (una media 12,5 per ciascuna classe, ma in realtà la leva è sbilanciata sulle classi dell'ultimo quindicennio del secolo) dei quali il Regio Esercito poteva disporre effettivamente. Ma a quel punto si sono messi in luce ulteriori elementi di selezione. Ci furono molti renitenti e anche parecchi disertori. Nella maggior parte dei casi si trattava di tollegnesi che, al momento della chiamata alle armi, si trovavano all'estero. Non rientrarono e quindi non partirono per il fronte. A non pochi di loro andò bene, cioè non combatterono con i loro coscritti. E andò ancora meglio a guerra finita perchè la più parte fu amnistiata e non subì conseguenze di sorta (i condoni ci sono sempre stati...). Infine, un'ultima scrematura: non tutti coloro che furono arruolati si ritrovarono faccia a faccia coi crucchi. Tra gli esonerati, i comandati come operai, gli adatti solo ai servizi sedentari, gli allievi ufficiali, i semplicemente fortunati ecc., "solo" 15o uomini videro e vissero, poco o tanto, la prima linea. Quei 150 tollegnesi costituivano il 10% della popolazione, ma non un 10% a caso, bensì una porzione cospicua degli uomini in età attiva. Ed è sulla base di quel numero (un po' meno di un quarto del totale teorico di partenza) che si sviluppano i ragionamenti e le valutazioni susseguenti. A partire dalla quota di caduti, di feriti e di mutilati, per verificare come e quanto la Grande Guerra ha inciso sul tessuto sociale di Tollegno in allora e in seguito. A quel livello si era ancora sul generale e non sul particolare, ma si stavano delineando alcuni aspetti che fanno capire come, dalla massa si debba poi distinguere la casistica dei singoli e, soprattutto, come sia difficile orientarsi tra liste di leva e ruoli matricolari in un contesto ove regnava e regna tuttora una certa confusione. Ecco, la confusione: venerdì se n'è parlato perchè è quella la condizione di fondo di tutta quella guerra e, forse, di tutte le guerre. La concentrazione di così tanti uomini (in assoluto, mai visto nulla del genere prima del 24 maggio 1915) che sopportarono il fuoco nemico, la paura, le malattie, le ferite, la fatica, le privazioni, il clima avverso, il tutto nella concitazione, nel disordine, nella contraddizione, nell'assurdità, nell'approssimazione, negli errori, nelle discrepanze di una burocrazia/gerarchia militare che, forse, fece più morti dei poveracci che sparavano sui nostri dalle trincee avversarie. Il riverbero di quel pandemonio logistico, di quel flusso arterioso e venoso che il cuore del Regno d'Italia pompava per e dal fronte in un costante andirivieni di uomini e mezzi, si vide anche a guerra finita. A Tollegno non si assistette a niente di anche solo paragonabile allo scenario squallido descritto da Pierre Lemaitre nel suo straordinario "Ci rivediamo lassù" (da leggere assolutamente), ma qualche problema si è presentato anche a Tollegno nella gestione dei reduci e, ancora di più, dei caduti. Le due lapidi di cui sopra, per esempio, non sono identiche e non sono nemmeno complete. Anche in quella più corretta mancano due nomi, ovvero Amedeo Antoniotti del 1876 e Francesco Verone del 1879, e non è chiaro il motivo, mentre ce n'è almeno uno che si potrebbe considerare "dubbio", cioè forse un disertore suicida che in linea teorica non dovrebbe essere lì (qualcuno, forse, ebbe il coraggio di togliersi la vita a casa per paura che qualcuno gliela togliesse altrove). I due marmi ebbero una storia travagliata per ragioni ideologiche e politiche. Già nel 1919 si voleva quel doppio monumento, ma i socialisti si misero di traverso e alla fine furono inaugurate separatamente, una a marzo e l'altra a novembre del 1921, con alcune fotografie che non furono mai inserite in quella "cattolica" del cimitero (per dissenso delle famiglie socialiste?) e quel nome inspiegabilmente aggiunto in calce. Quest'ultimo era Lorenzo Tamaroglio, classe 1890, che morì all'Ospedale Militare di Novara il 2 settembre 1920, che rischiò di essere depennato per essere deceduto in ritardo. E poi quelle identità da definire, quei nominativi così "estranei" alla comunità per la quale, tuttavia, diedero la vita. Caduti di chi? Di dove? E' il luogo di nascita o quello di residenza a stabilirlo? La questione dei caduti riguarda anche il movimento della popolazione che è a loro sopravvissuta. A Tollegno si incontrano cognomi che attestano immigrazioni allora recenti: gente dalla Bassa, come i Colombo, i Bracco, i Devecchio, i Pagliano (Candelo, Benna, Lamporo) che aveva risalito i torrenti fino alle fabbriche, che aveva lasciato le cascine per il "Villaggio Filatura", che aveva scelto un'altra vita, ma che non era sfuggita alla morte. E che dire di quel Vittorio Ferraris che fino alla scorsa settimana era davvero un "milite ignoto" e che, all'ultimo, è stato identificato. Lo si poteva cercare a Vercelli all'infinito, sarebbe stato inutile. E anche nei registri militari tollegnesi c'era poco o niente su di lui. L'arcano è stato svelato consultando i fogli di famiglia e incrociando i dati con l'"Albo d'Oro" dei caduti della Grande Guerra (è disponibile on line). Veniva da La Spezia ed è morto sul Podgora (medio Isonzo) nel 1916. Lavorava alla Filatura di Tollegno. Il fatto è che le famiglie si spostavano cambiando il volto a paesi come Tollegno, e si portavano dietro, se non il padre/marito/figlio defunto (molti corpi non tornarono affatto dal fronte), almeno il suo nome sul marmo e sulla placca del cippo nel Parco della Rimembranza. La visuale dall'alto dei registri compilati da non sempre solerti furieri e da non troppo zelanti impiegati del Distretto Militare di Vercelli permette, tra le cancellature, le note a margine, i rimandi, le sbavature di una macchina amministrativa che nel suo delirio archivistico ha qualcosa di miracoloso (si è conservato davvero tanto materiale, il che non è affatto scontato), di vedere con incredibile chiarezza che non ci fu una guerra sola, ce ne furono milioni. A ogni uomo la sua. Non esistono destini in copia conforme, ogni uomo ha vissuto un suo calvario (o un comodo sentiero, dipende...) e non solo dal punto di vista personale. Le carte raccontano storie diverse per ognuno. Ed è più facile avere a che fare con i morti. Per tutti gli altri si devono applicare categorie esistenziali che nessun Ufficio di Leva ha mai registrato, ma che si sono proiettate nella vita civile condizionando il futuro di quelle generazioni: felicità, delusione, incredulità, gratitudine, desiderio di pace, rassegnazione, voglia di rivincita, rabbia per un mondo nuovo che non germogliò mai dal fango né dal gelo, da Caporetto e nemmeno da Vittorio Veneto. L'Italia è nata in trincea. Ma anche l'Italia fascista. Le ricerche tollegnesi hanno svelato storie di uomini che da riformati furono rivisitati e spediti al fronte, imboscati che poi morirono combattendo eroicamente, disertori che arrestati e inviati in prima linea ricevettero croci al merito di guerra, preti (don Pietro Ugliengo, in zona di guerra con la 1a Compagnia di Sanità) e brusacrist, quelli che si salvarono dal deserto libico (in nove sperimentarono quella doppia esperienza) per soffocare sotto una valanga. E' stato il caso di Eusebio Francesco Giovanni Rosazza, alpino del battaglione "Ivrea". Tollegno perse 26 dei suoi uomini. Si tratta del 18% dei soldati effettivamente combattenti e quindi dell'1,8% della popolazione (del tutto in linea con il dato nazionale relativo ai militari, che sale al 3,5% se si includono i morti civili, che però a Tollegno non si possono fortunatamente computare) Una percentuale esigua, ma comunque enorme in termini umani. Il più vecchio degli eroi, quell'Amedeo Antoniotti, aveva 41 anni quando morì a Palmanova nel 1917, mentre il più giovane, Roberto Bertetti, aveva poco più di 19 anni quando morì sul Monte San Michele il 2 ottobre del 1917. Eligio Tamaroglio, classe 1882, arrivò al fronte il 31 ottobre 1915 e perse la vita l'11 novembre combattendo nel Bosco di Lamia. Alla fine, tra i 26 caduti tollegnesi (nove dei quali non autoctoni), ci furono anche i due fratelli Bracco, Alessandro e Cesare, e i due fratelli Peraldo, Costantino e Maggiorino. Ben 17 tollegnesi furono fatti prigionieri, 26 invece furono i feriti, ma "solo" 4 risultano essere mutilati. Due combatterono in Albania, uno in Francia. E si potrebbe andare avanti parecchio con le tracce minime di ciascuno, ma si saranno altre occasioni e, forse, tra poco si potranno leggere sul web. E' più opportuno chiudere con le parole di qualcuno che fu in quei giorni al fronte e che assistette alla morte di un tollegnese, il sottotenente Andrea Ottino, parole che dicono la Grande Guerra come tante altre, più di tante altre, tra perdita, dolore, umanità e speranza. "Zona di guerra, 3 luglio 1916. Egregio signore, sebbene non abbia l'onore di conoscerla pur tuttavia mi permetto io, medico del IV Battaglione di assumermi il triste incarico di comunicarle la morte di suo figlio Andrea, avvenuta il 2 luglio sulle pendici del Monte Interrotto. Io, stretto da un sincero legame d'affetto verso di lui, prima degli altri voglio darle la penosa e terribile nuova. Questo lo faccio per confortare il suo animo e per farla consapevole che ho raccolto io l'ultima espressione del suo sembiante. Nessuna sofferenza, nessun dolore ha provato e repentinamente è spirato. Il Signor Comandante della sua compagnia ha radunato tutti gli oggetti e prossimamente glieli spedirà. Io ho curato il suo trasporto ed il suo seppellimento. Quantunque il suo dolore sia senza limite, cerchi tuttavia di trovare la forza nella grande eredità d'affetto che lascia in mezzo a noi. Sappia, signor Ottino, che nulla abbiamo per lui trascurato. Il fato crudele ha voluto schiudere sì irreparabile vuoto: noi siamo tutti perplessi, ed addirittura abbiamo rinunciato a credere la triste verità. Per il suo cuore di padre non vi può essere alcun sollievo, noi amici suoi sinceri, rimpiangiamo la bella giovinezza, stroncata nella primavera della sua vita. Egli è caduto come la giovane quercia è abbattuta dal turbine, è caduto quando il suo animo vagava nei puri sogni dell'infinito. Parlare delle doti di lui stesso, è addirittura un profanare la sua memoria. Abbia forza, coraggio, fede, ed il rimpianto di noi, ed il sapere che niente gli è mancato valgano a lenire in parte l'atroce suo strazio. Ho trattenuto presso di me per suo ricordo una penna stilografica. Sarei desideroso di ricevere una fotografia di lui, perché in vita me l'aveva promessa. Porgendo quindi a lei, le più sentite condoglianze, accolga la espressione pura del mio rimpianto e cerchi di trovare la forza nella causa giusta per cui si combatte. Il povero Andrea è stato un eroe. Coraggio, dunque, e fede. Ufficiale medico Enrico Scala".

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