Il giudice Marandono del tribunale di Tollegno cita in giudizio diversi debitori succedanei di Giuseppe Antonio Germanetto verso la Compagnia del Suffragio del convento di san Carlo di Biella

Tipologia Documento
Data topica Biella
Data cronica
16 novembre 1761
[VUOTO]

Numerazione definitiva

Prefisso
Igor
Numero definitivo
8

Contenuto

È il primo documento pubblico della miscellanea. Si tratta di uno scritto decisamente composito e ricco di spunti. In realtà non è altro che una citazione giudiziaria ma risulta composta, oltre che dal dispositivo del giudice, anche dalla copia della supplica della Compagnia del Suffragio, parte lesa nella causa instruenda, rivolta allo stesso magistrato: in essa è contenuto un esauriente resoconto degli antefatti che produssero il ricorso all’autorità giudiziaria. Seguendo la composizione del documento si apprende che la “Veneranda Compagnia del Suffragio sotto il Titolo di S. Nicola da Tolentino eretta nella Chiesa, e Convento di S. Carlo de PP. Agostiniani scalzi” di Biella acquistò il 12 giugno 1742 con rogito Demosca un censo annuo da Giuseppe Antonio fu Giorgio Germanetto di Tollegno. Il “Sig. Tesoriere, ed officiali” della Compagnia versarono al Germanetto “la Capital Somma” di duecento lire di Piemonte per ottenerne annualmente in cambio dodici. Per la solvenza del censo era stata imposta l’ipoteca su cinque terreni di proprietà del venditore tutti situati in Tollegno: un canepale in regione “Cassinone” di quattro stara , un prato della medesima superficie in “Largera”, un altro prato in “Valle” di tre stara, un campo avidato in “Campolungo” di uno stara ed un ultimo campo pure di uno stara in “Bider”. Per brevità probabilmente nel documento non sono indicate le coerenze delle pezze.

Il motivo della esposizione prodotta dalla Compagnia era semplicissimo: a diciannove anni dall’acquisto del censo il Germanetto aveva versato ben poche delle annualità a cui si era sottomesso. Alla Veneranda spettava ancora “la somma di lire Cento dieci nove” per i “censi decorsi, e non pagati maturati”: in pratica il tollegnese mancava di corrispondere l’annuo interesse di dodici lire da poco meno di due lustri.

Dopo tanta e vana attesa la Compagnia del Suffragio per rientrare dei suoi investimenti si era mossa legalmente incaricando il proprio tesoriere, il signor Vittorio Amedeo Sapellani, di citare in causa il Germanetto per chiarire la questione di fronte al giudice competente per Tollegno. Il Sapellani rivestiva dal 1757 anche il ruolo di esattore dei crediti in nome delle Compagnia ed in quanto tale si adoperò per ottenere una “condanna nella personale al pagamento di detti Censi decorsi”. Ma la citazione in giudizio del Germanetto, fissata per il 13 novembre 1761, non aveva soltanto lo scopo di recuperare i dovuti interessi bensì di “far dichiarare il medesimo [Germanetto] tenuto alla dismissione di detti beni censiti da tenersi per essa compagnia in ragione di pegno ed ipoteca sino all’intiera sodisfazione”. Cioè la Veneranda Compagnia del Suffragio voleva mettere al sicuro il proprio introito subentrando temporaneamente nelle proprietà del Germanetto, su cui si basava il censo, almeno fino a quando il tollegnese insolvente non avesse corrisposto tutto quanto: capitale, interessi e spese processuali. A dire il vero però si intuisce che l’intento ultimo della Compagnia riguardo ai terreni del Germanetto era quello di “farseli agiudicare in ragione di Dominio a tenore delle Regie Costituzioni”. Ma era necessario attendere gli esiti della citazione e alla prima deposizione del Germanetto per i compagni del Suffragio si presentò una sorpresa sgradita.

La condanna per il pendente di 119 lire fu inevitabile per Giuseppe Antonio Germanetto ma quanto ai terreni il poveretto l’aveva combinata grossa: pur soggetti ad ipoteca derivante dalla vendita del censo li aveva alienati. Gli incauti, ignari o speculatori acquirenti erano il pralunghino Bernardo Perino residente a Biella, il suo compaesano Giacomo Antoniotto, Germano fu Giorgio Germanetto di Tollegno ma residente a Castellengo, Carlo Ferro tollegnese e Giuseppe zio col nipote Gio Craveia anch’essi tollegnesi. Questi ultimi avevano comprato la pezza a campo da uno stara posta al Bider.

 In realtà è difficile credere che in un contesto ridotto come quello della comunità tollegnese del tempo e in un’epoca in cui le operazioni immobiliari di questo tipo erano all’ordine del giorno ci fossero dei semplici sprovveduti che compravano terreni senza essere perfettamente a conoscenza di tutte le caratteristiche e le condizioni dell’immobile. E’ più facile credere che i cinque/sei acquirenti fossero informati della situazione ipotecaria delle proprietà del Germanetto che andavano a rilevare e che proprio in virtù di questa consapevolezza potessero spuntare un prezzo favorevole, magari per difficoltà economiche del venditore. In ogni caso si trattava di un rischio calcolato e frazionato e comunque c’era la garanzia della fideiussione a tutelare in qualche modo gli speculatori.

La questione della fideiussione, o meglio del “sigurtà solidario”, viene evidenziata alla fine della petizione della Veneranda. Il ruolo di fideiussore venne svolto al tempo dello strumento di vendita del censo dallo “Scultore G. Gaspare Serra” ma nel 1761 costui si era già reso defunto e il documento specifica che la Compagnia, se non fosse stata soddisfatta interamente, avrebbe agito pretendendo “quanto sarà in odio dagli eredi del fu Sig.r Scultore”. La supplica però, prima del fideiussore, coinvolge quelli che vengono definiti “terzi possessori” cioè coloro che detenevano le pezze del Germanetto in seguito ai suddetti incauti acquisti. Nella richiesta della Compagnia infatti si esplicita la necessità di una dismissione coatta da parte dei nuovi “possessori” per il  tempo necessario al risarcimento e non si manca di rimarcare ulteriormente che a norma delle Regie Costituzioni in caso di mancata riscossione i terreni dovevano essere accreditati alla Compagnia. Solo a questo punto venne introdotta l’opzione del fideiussore perché, nella eventualità in cui la ‘custodia’ dei terreni da parte della Veneranda fosse stata dichiarata semplicemente temporanea e se il Germanetto non avesse pagato, o non del tutto, non rimaneva ai compagni del Suffragio che rivolgersi agli eredi del Serra. In realtà, come detto, la Compagnia avrebbe preferito non molestare i fideiussori e prendersi i terreni, a meno che il Germanetto non saldasse le sue pendenze in tempo utile. E in quel caso a guadagnarci sarebbero stati i soliti “terzi possessori” che avrebbero mandato a segno un colpo probabilmente buono.

La supplica venne sottoscritta da un tale Rondi che doveva essere l’amministratore designato a seguire la questione, insieme all’esattore Sapellani, o il tesoriere, o più probabilmente il priore della Compagnia. Il giudice Marandono giustamente citò i “terzi possessori” rivolgendosi ai colleghi dei paesi ove risiedevano compreso il “Sig.r Giudice e Prefetto della presente Città”. Nella citazione venne indicato il luogo in cui i convocati dovevano presentarsi: “in questa Città, e casa di nostra solita abitazione posta nel Cantone di Riva Quartiere di San Cassiano che eleggiamo in questa causa per compettente nostro Tribunale”. Per i citati venne specificato che avrebbero dovuto pure “comparire”, ossia lasciare il segno della propria presenza, “nel Registro del Signor Segretario Nostro Infrascritto”, cioè il Barile. L’unica cosa manchevole di precisione è la data ultima di presentazione: senza ulteriore specifica la citazione fa riferimento al “termine dalla Regia Costituzione prescritto”.

Purtroppo resta nella miscellanea soltanto questo atto preliminare e non è possibile sapere come si risolse la causa, se poi ci fu davvero, o se piuttosto le cose si aggiustarono amichevolmente magari con l’esborso del mancante da parte del Germanetto. In verità è possibile che coloro che acquistarono i terreni ipotecati siano riusciti a rimanerne in possesso: almeno nel caso del duo Craveia questo possibilità sarebbe testimoniata dal fatto che quasi cento anni dopo, nel 1842, il loro erede Alessandro poteva vantare tra le moltissime altre anche una pezza a campo in Bider di circa dodici tavole ed è assai probabile che fosse proprio quella da uno stara così tortuosamente acquisita dai suoi avi nel 1761.

Note

Il notaio Giuseppe Barile funge in questo caso da segretario del Tribunale di Tollegno.