Giovanni (Giuseppe Angelo) Craveia salda i debiti dotali con le zie paterne Maria Caterina e Domenica

Tipologia Documento
Data topica Tollegno
Data cronica
5 novembre 1763
Note
Indizione undicesima
[VUOTO]

Numerazione definitiva

Prefisso
Igor
Numero definitivo
9

Contenuto

Il presente strumento di quietanza dotale ha origine dal testamento, rogato Barile, il 6 maggio 1743 dettato da Giovanni Angelo Craveia che venne a morte nel 1746. In quel documento era disposto che alle due figlie, Maria Catta e Dominica, del defunto Gio. Angelo e della sua seconda moglie Eusebina Coppa sarebbero spettate 40 lire ciascuna a titolo di dote con la clausola che il denaro sarebbe stato loro versato entro i primi 5 anni di matrimonio. Maria Catta, del 1728, si era sposata con Pietro Costa mentre Dominica, di quattro anni più giovane, aveva maritato Gio. Batta Coppa che l'aveva presto lasciata vedova. Malgrado le disposizioni testamentarie, nel 1763 le due donne non avevano ancora ricevuto la rispettiva dote anche se erano sposate da ben più di un lustro. Gli unici due figli maschi del vecchio Gio. Angelo erano morti: Bartolomeo giovanissimo anni prima e Giuseppe in quello stesso anno. Secondo la logica della successione l'onere di procurare la tardiva dote ricadeva su Giovanni Giuseppe Angelo, "Giò", unico erede di Bartolomeo e quindi nipote delle petenti. Non è chiaro se lo fossero o meno ma tant'è che il giovane Craveia, appena trentunenne nel 1763, decise di chiudere il conto con le zie acquisite nonché coscritte. Doveva ad ognuna 40 lire più gli interessi decorsi dopo in quinquiennio postnuziale previsto per il pagamento della dote. Normalmente a quel tempo era applicato un tasso annuo del 5% e dunque la maggiorazione di 16 lire sul capitale rappresenta 8 anni oltre ai cinque, cioè la zia più anziana era stata impalmata nel 1750. All'altra zietta, Dominica, doveva in tutto 50 lire, cioè 10 di interesse che corrispondono a 5 anni di insolvenza post termine calcolando che la ormai vedova Coppa prese marito nel 1753. È strano osservare che nel protocollo lo strumento viene indicato come valente 80 lire, ovvero le doti senza interessi, mentre sul verso il notaio vergò un ininterpretabile 116. Tutto sommato farebbero 106 le lire quietanzate e non credo che ci siano 10 lire di parcella anche includendo i costi d'insinuazione (per altro esigui). A Maria Catta il denaro era già stato passato mentre Dominica lo ricevette di fronte al notaio. Per quanto riguarda ciò che nel testamento del 1743 Gio. Angelo definiva "fardello", ossia il personale corredo ed i rispettivi mobili ed immobili, venne consegnato al momento del matrimonio delle due donne: di quel passaggio di proprietà questo strumento rappresenta comunque una quietanza che prima evidentemente era solo verbale. Un curioso particolare emerge nella parte terminale dell'atto svelando una "consuetudine del presente luogo". La questione è semplice: costituita una dote, o lasciatala in obbligo come legato testamentario, essa passa con le nozze (o in seguito come in questo caso) dalla destinataria al marito che pur non entrandone in possesso diretto ne gode il frutto. Ecco quindi che in quel medesimo istante, nello stesso strumento come è testimoniato in questo atto, il marito aumenta il capitale di 10 lire ogni cento. L'uso va probabilmente interpretato come una specie di sistema pensionistico di vedovanza: il marito previdente incrementava la disponibilità della moglie nell'ottica della relativa facilità di lasciarla sola magari prematuramente. Lodevole iniziativa ma va detto che prima di tutto non si trattava di cifre da capogiro e che comunque nel computo degli scatti non si applica la percentuale: infatti non vengono considerati i "rotti". Pietro Costa infatti per le 56 lire ricevute da Maria Catta capitalizza soltanto 5 lire e nel contempo "fa detta sua moglie cauta, sicura in et sovra tutti suoi beni presenti, futuri". In effetti queste 5 £ più quelle che spetterebbero a Dominica se fosse ancora sposata (e se avesse un marito tradizionalista) quadrerebbero i conti con quel "116" scritto sul verso; ma chi versò altre 5 lire? Lo ritengo poco probabile ma se fosse andata così credo proprio che nessuno se non il nipote "Giò" avrebbe voluto concludere la vicenda con un gesto così definitivamente perequativo per le due zie.

Note

Giuseppe Barile di Tollegno "nodaro et segretaro", residente a Biella, ecco quel che si legge al signum tabellionis. Al suo terzo strumento. L'atto fu redatto nella sua casa di Tollegno "prima di mezzogiorno".